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III. Accenti

Questa pagina web conclude il nostro riassunto delle basi linguistiche della Divina Commedia. Gli accenti definiscono il polso, il ritmo del verso, e sono uno degli aspetti centrali, forse anche più elusivi, della lingua italiana. La loro struttura linguistica ha spinto la scienza in aspre controversie che non sono ancora completamente risolte o comprese.

Come ricompensa per l'impegnativa lettura, posso prometterti che qui troverai qualcosa che non è disponibile altrove: un nuovo arsenale di possibilità di accentuazione che può forse meglio, più utilmente, più musicalmente assorbire ed esprimere il flusso sonoro della grande poesia.

Infatti, per rendere giustizia all'impressionante complessità ritmica della creazione dantesca, era necessario ampliare lo schema classico non più sufficiente dell'accentuazione canonica. La mia edizione introduce - questo sarebbe il suo contributo scientifico - una logica di accento a tre valori, composta da accenti forti e deboli e da sequenze di accenti alternativi, opzionali e inclusivi. La combinazione di questi componenti consente di rappresentare possibilità reali di lezione e ti permette di essere creativo nella tua lettura.

Con questa terza pagina web, concludiamo il nostro riassunto delle basi linguistiche della Divina Commedia. Ora hai gli strumenti per recitare con competenza quest'opera, che da un lato aderisce alle severe linee guida dell'endecasillabo, ma dall'altro conserva anche le sue libertà speciali. E non è forse proprio in questo cambiamento, non più delimitabile, che risiede il fascino particolare della nostra poesia?

Se vuoi istruirti, dai un'occhiata alla pagina web di lettura o prendi uno o l'altro dei libri della nostra selezione conclusiva di letteratura.

1. Definizione di base dell'endecasillabo e progetto della sua canonizzazione

Per comprendere il fascino speciale degli accenti e il loro significato per la poesia di Dante, è necessario studiare più in dettaglio il metro del verso della Divina Commedia, l'endecasillabo, e la sua metrica particolare. Come è noto, forma ogni verso della nostra poesia, con l'aggiunta della terza rima, una concatenazione di rime finali, di cui però qui non dobbiamo preoccuparci.

L'endecasillabo ha come requisito minimo un'unica condizione strutturale sempre valida: è accentato sulla decima sillaba. Nella sua forma base, che si dà quando l'ultima parola è accentata sulla penultima sillaba, ha undici sillabe metriche.[30] In linea di principio, quindi, le altre sillabe potrebbero essere accentate ad libitum. Tuttavia, divenne presto evidente che certe combinazioni di accenti si verificano più frequentemente di altre e possono quindi essere considerate come un'ulteriore caratteristica distintiva. Così nacque il progetto di canonizzazione, la descrizione proprio di quei modelli fondamentali dell'endecasillabo, e infine il postulato più ampio che tutti i versi della vera poesia dovevano conformarsi a questa disposizione.[31]

Anche se il tentativo di canonizzazione deve essere considerato un fallimento in ultima istanza, cioè non è possibile incorporare tutti i versi nel sistema, vogliamo comunque presentarlo brevemente, da un lato per mostrare il suo valore, dall'altro per dimostrare i suoi limiti. Siamo allora pronti, superando il rigido dettato, ad avanzare o ad indietreggiare nell'attuale e, come vedremo, originale varietà ritmica dell'endecasillabo.

2. L'endecasillabo canonico

Si può assumere un canonico se, oltre all'ictus[32] già conosciuto sulla decima sillaba, la quarta e/o la sesta sillaba sono accentate, il che equivale al fatto che entrambe non possono essere non stressate. In questo caso, si avrebbe davanti un endecasillabo non canonico.

Il sistema canonico distingue ora due tipi fondamentali, l'endecasillabo a maiore e a minore, quest'ultimo anche ramificato ancora una volta. L'endecasillabo a maiore è stressato sulla sesta sillaba, l'endecasillabo a minore sulla quarta sillaba. Nella variante più frequente, ha un ulteriore accento sull'ottava sillaba (4-8). Nella più rara variante "dattilica", invece, la settima sillaba è enfatizzata (4-7). A parte queste condizioni di base, la restante distribuzione delle sillabe è essenzialmente libera (Beltrami 2002: 182). L'accentuazione sia della quarta che della sesta sillaba serve ovviamente a entrambi i tipi fondamentali dell'endecasillabo, l'a maiore come l'a minore, ma questo non preoccupava molto i linguisti, poiché era lasciato al recitatore di decidere come voleva interpretare o leggere un tale verso.

Una pietra miliare nello sviluppo ulteriore dello schema canonico è certamente l'opera di Bertinetto (1973), che ancora oggi indica la strada da seguire. L'autore include anche posizioni marginali oltre le sillabe centrali da 4 a 8 e presenta una tipologia più completa dell'endecasillabo. Essa si è dimostrata, con lievi modifiche, nell'analisi di altre opere classiche e rappresenta il sistema valido oggi.[33] Questa tassonomia dovrebbe essere completata dal fenomeno del già noto contraccento (anche scontro di ictus o accento ribattuto).[34] Qui vengono enfatizzate due sillabe adiacenti, spesso le sillabe 6 e 7, ma altre combinazioni sono concepibili e realizzate nella Divina Commedia.

Con quest'ultimo affinamento, il modello delle varianti canoniche ammissibili ha raggiunto il suo limite, se non vuole rendersi completamente inutile attraverso ulteriori ramificazioni. Consiste in un elenco delle forme di versi essenziali dell'endecasillabo e la fiducia di aver rappresentato quasi completamente la realtà poetica. La verità, però, è più complessa. Perché il sistema, indipendentemente dalla sua qualità, ha due punti problematici, almeno uno dei quali non può più essere eliminato da nessun adattamento, per quanto raffinato.

3. Problemi del sistema canonico

A. Mancanza di codificazione e esistenza irriducibile di versi non più canonizzabili

Cominciamo con il problema più piccolo. Abbiamo notato sopra che la stragrande maggioranza dei versi di Dante sono rappresentati in modo affidabile nel sistema canonico e abbiamo anche notato i miglioramenti moderni di questo progetto. Tuttavia, un calo di valore rimane anche qui. Infatti, mentre nella definizione di base dell'endecasillabo a maiore o a minore, c'era in principio una libera scelta di accenti oltre al 4, 6, 7 o 8, il modello moderno ha concretizzato queste varianti e quindi abolito di nuovo la libertà completa. Così, per esempio, l'endecasilabo a maiore con l'accento principale sulla sesta sillaba, a seconda dell'accento secondario all'inizio del verso, ha le sottoforme 1.6.10, 2.6.10 e 3.6.10. Lo stesso vale per la versione alternativa con accento aggiuntivo sull'ottava sillaba. Ne risultano quindi le varianti 1.6.8, 2.6.8, 3.6.8 e 1.3.6.8. Per il classico endecasilabo a minore con la forma principale 4.8.10 notiamo le sottovarianti 1.4.8.10 e 2.4.8.10. E con l'endecasillabo "dattilico" a minore con secondo accento sulla sillaba 7, otteniamo la variante principale 4.7.10 così come le sottovarianti 1.4.7.10 e 2.4.7.10. Troviamo anche restrizioni simili con quelle varianti dell'endecasillabo che sono accentate sulle sillabe 4 e 6.

Non ci siamo permessi questa elaborazione per spaventare il lettore, ma per mostrare che qui non c'è una completa libertà aggiuntiva di accenti, ma una limitata, il che significa che mancano varianti in cui si verificano altri accenti o sequenze di accenti: per esempio, l'accentuazione della quinta sillaba, l'accentuazione della nona sillaba o i controaccenti.

Se ora prendiamo in considerazione la distribuzione concreta degli accenti nella Divina Commedia, scopriamo molte di queste varianti speciali, anzi un affascinante gioco di accenti e serie di accenti, che semplicemente non si conforma a uno schema così relativamente chiaro, anche nella sua formulazione finale. La ragione di ciò può essere che all'epoca di Dante non esisteva una codificazione esplicita dell'endecasillabo o dei suoi tipi di base, il che dava al poeta più libertà rispetto agli autori successivi.[35] Forse è semplicemente il caso che Dante si sottraeva consapevolmente a questa ristrettezza strutturale-normativa, che voleva esaurire le possibilità linguistiche, o più precisamente: le permutazioni dell'endecasillabo, e che gli piaceva il cambiamento di ritmo.

Naturalmente, si possono anche avanzare qui ragioni puramente metriche, cioè la necessità di sistemare un verso nella rigida cornice dell'endecasillabo o della terza rima, ma queste sono le nostre ragioni. Non abbiamo motivo di dubitare che Dante abbia disegnato l'impostazione degli accenti e quindi il ritmo di ogni verso esattamente come voleva. Attribuiremmo il fascino speciale di questa variazione, anzi la potenza dell'insolito che deriva da queste sequenze di versi, a una mera necessità tecnica e sminuiremmo così l'abilità linguistica del poeta.

Tuttavia, si potrebbe sostenere che un sistema canonico migliorato e più flessibile, come uno che introduce clausole di eccezione ancora più fini, dovrebbe almeno in linea di principio essere in grado di realizzare il compito cercato.[36] Il secondo problema, invece, è di natura fondamentale e non può più essere curato.

B. Il problema dell'esecuzione (della lezione)

Consiste nel fatto che lo schema di accento a due valori, che distingue le sillabe stressate da quelle non stressate e non permette alcuna ulteriore differenziazione, non rappresenta correttamente il reale flusso del discorso. Così, l'ascolto di recitazioni professionali della Divina Commedia mostra che le sfumature di stress, cioè sottili differenze di volume tra gli accenti, sfuggono al sistema bipolare. Si era ormai abituati a collocare queste sottigliezze nella libertà dell'esecutore, cioè a considerarle non come una genuina caratteristica primaria del metro, come inerente al verso stesso, ma come un momento subordinato, accidentale dell'esecuzione o l'elocuzione, del modo di parlare. La conseguenza di ciò è stata che che nei casi limite di accentuazione debole, l'accento è stato posto una volta e una volta no. Nel primo caso, l'accento è apparso troppo marcato, nel secondo caso era assente. Inoltre, c'erano costellazioni in cui un accento forte poteva ma non doveva essere impostato, cioè entrambe le opzioni erano ammissibili. Ciò che è stato osservato per i singoli accenti si applica anche - come vedremo tra poco - alle combinazioni di accenti. Anche qui, sono concepibili varianti inclusive, esclusive e opzionali.

Una vera rappresentazione della lezione concreta dovrebbe catturare questa realtà ed esprimere così che la varianza è già insita nel verso, nella sua struttura semantica e poetica, e non viene aggiunta solo secondariamente dall'interprete.

4. La nuova edizione - il nostro contributo alla comprensione degli accenti

Abbiamo intrapreso - questo sarebbe il contributo scientifico del nostro testo - una tale mappatura. È il primo tentativo di una documentazione più realistica delle strutture di accento espresse nella recitazione poetica, cioè nell'italiano parlato, e può forse servire come base per ulteriori ricerche.

Cominciamo con la forza degli accenti e poi passiamo al problema della canonizzazione. Presumibilmente, sarebbe possibile, attraverso uno studio preciso della pronuncia concreta, stabilire diversi livelli di accentuazione a seconda forse anche del loro prolungamento, e quindi, simile alla musica, fissare la dinamica e la durata del fonema.

Nella musica (classica) - lo ricordiamo - il compositore generalmente determinava con precisione la durata del tono, ma lasciava indeterminato il volume o lo segnava in gradazioni dal pianissimo al fortissimo. Questo di solito comporta frasi di tono più lungo. Una singola nota può essere sollevata dal contesto sonoro con uno sforzato o subito piano.

Nel linguaggio, la lunghezza di una parola è inizialmente determinata lessicalmente. Cioè, sappiamo che la a di casa, per esempio, si pronuncia lunga, la a di cassa breve. Non c'è, tuttavia, alcuna indicazione di forza. Sebbene conosciamo l'accento anche qui, come in càccia, per esempio, non ci sono informazioni aggiuntive di amplificazione associate ad esso. Al massimo, come in città, segna principalmente la posizione, cioè qui l'enfasi sull'ultima sillaba e non sulla solita penultima sillaba.

Abbiamo parlato della possibilità di sviluppare un sistema che inserisca in modo più differenziato il volume di un accento nel testo e - per i puristi - la lunghezza della sillaba, ma qui ci troviamo di fronte a difficoltà pratiche quasi impossibili da risolvere. Come dovrebbe essere progettato graficamente un tale raffinamento e come dovrebbe essere realizzato senza limitare troppo l'interprete, che ha ancora bisogno di libertà anche per quanto riguarda la dinamica e l'estensione temporale?

La soluzione che proponiamo deve essere praticabile, realistica, flessibile e istruttiva. Non deve sopraffare l'allievo, cioè deve essere facilmente riconoscibile e attuabile. Dovrebbe anche riflettere meglio la realtà della lingua, cioè fornire al sistema classico di accentuazione una sfumatura media aggiuntiva. Allo stesso tempo, dovrebbe comunque lasciargli abbastanza spazio di manovra. E infine, vuole informarlo. Dovrebbe mostrargli la struttura di base degli accenti in un verso ed entro quali limiti (vincoli) può svolgersi l'esecuzione neutra, cioè non stilisticamente esaltata in modo consapevole.

Non priva quindi l'oratore della libertà interpretativa; gli dà piuttosto la conoscenza dei centri tonali, la struttura dell'accento del verso, e quindi la competenza linguistica per deviare ad libitum anche dal nostro sistema.[37]

A. La logica dell'accento trivalente: accenti forti e deboli

Per raggiungere questo obiettivo, è stato necessario abbandonare la logica dell'accento a due valori e sostituirla con un sistema a tre valori. Distinguo gli accenti fortemente enfatizzati da quelli debolmente enfatizzati e dalle sillabe non accentati. Questa logica dell'accento trivalente è facile da afferrare e tuttavia sorprendentemente efficace nel raffigurare le dinamiche reali del nostro endecasillabo. Perché il lettore ha così davanti a sé palesemente quei forti accenti principali che di solito sono chiaramente enfatizzati. Sa dove ci sono accenti secondari più deboli che sono ancora udibili ma subordinati agli accenti principali, e conosce quelle sillabe - il vecchio sistema aveva già ottenuto questo - che non devono essere enfatizzate. Il nostro sistema interviene nel testo in modo decisivo, ma lascia ancora al lettore sufficienti sfumature di accentuazione, ad esempio in volume, velocità o tono.

Il problema di enfasi eccessiva o insufficiente degli accenti nella gamma del volume medio è così eliminato in quanto questi accenti ricevono ora una propria marcatura e non cadono vittime del vincolo di decisione bipolare, cioè o sono marcati troppo fortemente o non lo sono affatto.

B. Accenti deboli contro accenti secondari

Dobbiamo chiarire un possibile malinteso. Gli accenti deboli non sono i cosiddetti accenti secondari che hanno occupato intensamente la linguistica. Gli accenti secondari sono marcature più deboli all'interno di una parola che ha già un accento primario. Seguiamo qui la valutazione di Bertinetto (1981), che rifiuta gli accenti secondari o non li riconosce come un elemento strutturale linguistico essenziale dell'italiano.[38] Dolceménte, per esempio, è così enfatizzato solo sulla e centrale e non anche più debolmente sulla o.

Di conseguenza, ogni parola conosce un solo accento. I nostri accenti deboli sono quindi gli unici accenti di una parola, il che significa che una parola può avere o un accento forte o un accento debole o nessun accento, cioè è senza accento. Questo esprime il fatto che, da un punto di vista puramente grammaticale, ogni parola ha un accento, cioè un centro di stress - nel caso di uscìto, per esempio, questo sarebbe la i - ma nel contesto della frase concretamente pronunciata, questa parola può anche apparire non stressata, come nel caso di "uscito fuòr", dove l'uscito viene letto velocemente e non stressato, mentre il fuor è fortemente accentato sulla o.

Abbiamo parlato sopra di accenti opzionali e di combinazioni di accenti di natura alternativa, esclusiva o inclusiva. Anche qui, vogliamo offrire una soluzione.

C. Accenti alternativi

Gli accenti alternativi sono quelli in cui il lettore può collocare un accento particolare o quello che lo segue. Così, di due accenti successivi, uno è enfatizzato ma l'altro non è accentato. Il più delle volte si tratta di sillabe vicine. Gli accenti alternativi possono essere accentuati o debolmente accentuati; molto raramente c'è una miscela dinamica dei due. È importante che solo uno dei due accenti sia enfatizzato. Quindi è logicamente l'esclusivo o (A o B). Questa variante è indicata nella nostra edizione da una barra tra gli accenti.

D. Accenti inclusivi

Gli accenti inclusivi sono un po' più complessi. Anche qui abbiamo a che fare con due accenti consecutivi, di solito sillabe adiacenti. Contrariamente agli accenti alternativi, tuttavia, entrambe le sillabe possono essere accentate. Così il lettore può enfatizzare la prima e non la seconda sillaba, la seconda e non la prima, e infine entrambi. E anche qui, non è un problema riconoscere immediatamente che abbiamo istanziato logicamente l'inclusivo o (A e o B). Un punto tra gli accenti segna questa variante.

E. Accenti opzionali (facoltativi)

Ma cosa facciamo nei casi in cui il parlante vuole enfatizzare o non enfatizzare un singolo accento o una combinazione di accenti ben definita? Qui abbiamo un accento opzionale o un gruppo opzionale rispettivamente facoltativo di accenti. Il recitatore può quindi enfatizzare o non enfatizzare questo elemento. Una parentesi segna questa variazione. Lo aggiungiamo o intorno a un singolo accento o a un gruppo di accenti, che poi viene letto completamente o non letto affatto.

Una domanda si impone a noi. Cosa succede nel caso di un forte accento? La libertà di scelta porta alla sua completa omissione o fa sì che l'accento si trasformi in un accento debole? Abbiamo lasciato aperta questa decisione. Dovrebbe essere sufficiente sapere che l'accento forte in questione può essere consegnato in una dinamica ridotta o non è enfatizzato. Il suo dominio come accento forte non è quindi incondizionato. L'entità della restrizione sorge nell'attuazione concreta. Qui si può ben immaginare che tra diversi parlanti siano possibili tre forme di accentuazione e due di riduzione.

F. Vantaggi del nuovo sistema

a. Dinamica e flessibilità degli accenti

Cosa abbiamo ottenuto con il nostro schema? Abbiamo mappato il flusso reale delle parole, la recitazione concreta, in quanto abbiamo per la prima volta registrato le diverse dinamiche degli accenti in modo più sistematico e abbiamo evidenziato il loro significato. Abbiamo anche descritto delle variazioni nella recitazione. Essi tengono conto del fatto che i singoli accenti o gruppi di accenti sono pronunciati con distinzione diversa da persone diverse e possono anche essere omessi. Non si tratta di puro arbitrio, cioè di esperimenti arbitrari dell'individuo, ma di possibilità che risiedono nel linguaggio stesso e che in questo senso raffigurano la sua struttura e la sua libertà. Un verso possiede così il potenziale di diversi modi di articolazione: questa pluralità fa parte della sua sostanza, della sua determinazione linguistica. È inerente ad esso e non è una caratteristica secondaria.

Tuttavia, stiamo parlando solo delle principali forme sensibili di lezione peculiari dell'italiano, delle strutture di base radicate nella pratica. Il linguaggio e l'interpretazione possono esprimersi al di là di queste possibilità. Perché l'alienazione e il rimodellamento complesso fanno parte della libertà interpretativa, parte di ciò che è permesso nell'arte. Se viene fatto consapevolmente, può avere un effetto potente. Il nostro sistema vuole trasmettere questa conoscenza del centro ritmico, o più precisamente: dei centri ritmici plausibili, e quindi invitare a sperimentare in una direzione o nell'altra. Non patrocina, informa. Il resto è arte.

b. Impatto sulla canonizzazione

Ma stiamo anche facendo progressi significativi in termini di canonizzazione. Con l'aggiunta di accenti deboli, sono concepibili più combinazioni di accenti e anche quelle che di solito si omettono volentieri. È vero che anche con il sistema convenzionale è possibile accentuare tutte le sillabe di un endecasillabo da 1 a 9. Spesso, tuttavia, nel caso di sillabe ancillari nelle posizioni da 1 a 3 o soprattutto 9, che è vicino al 10 sempre accentato, questa designazione viene omessa perché non si confida che questi accenti abbiano un pieno potere di accentuazione. Il nostro sistema li include individualmente o in combinazione con altri accenti. Così, le formazioni di accento non canoniche appaiono più frequentemente, cioè la struttura dei versi della Divina Commedia mostra la sua vera diversità.

Sono fermamente convinto che il sistema canonico non può cogliere la pluralità metrica di quest'opera. Certamente è una prima, importante fissazione, e certamente lo schema conserva il suo valore nella dovuta relativizzazione nell'espansione finale di un Bertinetto o dei suoi successori. Ma non esaurisce le possibilità concrete. In definitiva, l'endecasillabo di Dante è libero. In definitiva, possiede una varianza permutazionale quasi illimitata. E proprio in questa libertà risiede la sua bellezza e grandezza.

Perché Dante, a differenza degli autori successivi come Petrarca in particolare, ha formato ed era in grado di formare lui stesso il suo linguaggio. Non era soggetto a quelle standardizzazioni che più tardi servirono al verso. Non è il caso, come alcuni scrivono, che Dante vada al limite della regola con ogni verso o la rompa. Piuttosto, all'interno del requisito minimo della decima sillaba accentata e delle possibilità centrali di enfatizzare la quarta, sesta, settima e ottava sillaba, si permette un grandioso gioco di dinamiche che crea piacere nell'alternanza, nell'imprevedibile e nell'individuale.

La forza di questa poesia non deriva puramente dalla riproduzione del sistema, ma dalla libertà quasi illimitata, dalla scoperta di possibilità sempre nuove, poi ancora nel ritorno allo stesso principio canonico, per abbandonarlo nuovamente nel verso successivo. Questa libertà è il nucleo stesso dell'endecasillabo. Solo questo particolare verso crea questa libertà, e forse questo è uno dei motivi per cui Dante l'ha scelto. Perché in questa libertà si esprime ciò che il poeta voleva realizzare nell'opera stessa: la libertà e la grandezza della poesia, dello spirito umano e in definitiva dell'esistenza umana. E forse sono la veemenza e l'incondizionalità con cui Dante realizza questa aspirazione che ci hanno legato per secoli all'opera e che non ci lasciano più andare.

G. Procedura

La nostra edizione si conclude così con una marcatura degli accenti. Per fare questo, è stato necessario decifrare il testo letto da sei madrelingua.[39] Due database, quello di Robey (2003) e quello del Gruppo di Padova (AMI), si sono rivelati utili.[40] In primo luogo, ho scandito i versi di ogni canto individualmente, cioè ho fatto una prima divisione imparziale degli accenti. Poi ho confrontato questa in ordine fisso con sei registrazioni audio e ho estratto da esse le varianti che mi sembravano sensate. In parallelo, ho confrontato il mio risultato con i due database menzionati sopra. Questo lavoro ha richiesto mesi di tempo, ma il risultato è stato profondamente soddisfacente. Perché non solo il progetto mi ha condotto più a fondo nel segreto degli accenti, del ritmo e degli schemi linguistici del nostro grande poeta. Si è anche scoperto che i componenti che ho introdotto erano in grado di mappare efficacemente le possibilità reali della recitazione. Questo perché la combinazione dei parametri dà come risultato un'enorme varietà di figure di designazione, per cui si possono rappresentare con successo anche strutture più complesse. Tuttavia, poiché questa pluralità si basa su pochi simboli fondamentali, rimane ancora comprensibile.

H. Risultato

Il lettore ha finalmente davanti a sé quelle forme basilari di recitazione plausibile che sono state estratte dal discorso colto e lo descrivono. È una designazione musicale, poiché sono coinvolte anche sfumature di volume, di puntamento e così il flusso della recitazione diventa naturale, più melodico. Esse sono, riprendendo una famosa metafora di Otto Neurath, una scala che porta alla conoscenza e che poi può essere gettata via quando la conoscenza è raggiunta e l'intuizione artistica prende il suo posto.

A destra di ogni verso c'è la sua struttura d'accento. Gli accenti principali sulle sillabe da 4 a 8 sono contrassegnati nel testo da sottolineature, entrambe in caratteri blu. Insieme ai segni di pronuncia, il nostro sistema apre al lettore interessato un aiuto vincente all'interpretazione, il cui unico scopo è quello di accompagnarlo più felicemente nel viaggio attraverso la poesia della Divina Commedia, il suo suono ammaliante, il suo coraggio visionario, la sua bellezza travolgente.

I. Excursus: la cesura

Con la cesura, incontriamo un fenomeno linguistico che è stato oggetto di discussioni estremamente controverse in letteratura, senza che sia stata raggiunta una soluzione uniforme. Vogliamo prendere qui una posizione chiara e spiegare al lettore perché abbiamo rinunciato completamente al termine cesura nella nostra edizione.

In linea di principio, sembra possibile dividere un endecasillabo in due semiversi (disuguali) e assumere una pausa ritmica nel discorso[41] tra di essi. Questa pausa deve seguire immediatamente la fine della parola che porta la sillaba principale accentata, cioè quella sillaba che, oltre alla decima sempre accentata, definisce il tipo di verso. Nel caso dell'endecasillabo a maiore, questa sarebbe quindi la parola con la sesta sillaba, e nel caso dell'endecasillabo a minore, la parola con la quarta sillaba. L'esecuzione esatta di questa istruzione di separazione, tuttavia, porta presto a ulteriori costellazioni, se non complicazioni. Perché a seconda della lunghezza e del tipo di desinenza della parola critica, risultano diversi punti di separazione. Nel caso dell'endecasillabo a maiore (6-10), la cesura può avvenire dopo la sesta, settima o ottava sillaba[42], mentre nel caso dell'endecasillabo a minore (di entrambi i sottotipi, cioè 4-7 e 4-8), può avvenire dopo la quarta, quinta e talvolta anche sesta sillaba.[43]

Ma cosa succede con le varianti canoniche estese che abbiamo conosciuto nello schema di Bertinetto e con i versi non canonici? Qui si procederebbe prima secondo il principio stabilito sopra e si localizzerebbe anche la cesura dopo la fine della parola della sillaba principale accentata. Se, per esempio, il tono principale interno cade sulla seconda, terza o quinta sillaba, allora anche la cesura si trova dopo la fine della parola di questa sillaba. Nel caso di una terminazione piana, questo sarebbe dopo la terza, quarta o sesta sillaba.

Ma non è tutto. Perché finora abbiamo tacitamente assunto che le sillabe menzionate sono le più fortemente accentuate all'interno di un verso. Di fatto, però, spetta all'esecutore decidere quale delle sillabe accentuare di più e quale di meno. Se, oltre alla sillaba principale tonica, un'altra è altrettanto fortemente enfatizzata, ne risulta un'ulteriore cesura, la cosiddetta doppia cesura, che divide il verso in tre parti (cfr. Elwert 1968: 54ss.). Nel caso canonico 4-7, con sillabe di uguale stress e finale piano, si assumerebbe una cesura in posizione 5 e 8. Analogamente, questo vale per tutte le varianti estese o non canoniche con uguale enfasi sulle sillabe.

Infine, la dinamica degli accenti permette un'ulteriore distinzione. Se gli accenti descritti nell'ultima sezione sono debolmente marcati all'interno della frase, si parla di una doppia cesura debole; se nessun altro tono principale emerge accanto all'ictus sulla decima sillaba, la cesura viene omessa (ibidem).

Tutto questo dovrebbe mostrarci che anche con la migliore volontà non risulta una semplice sistematizzazione della cesura. In sostanza, si può supporre che debba seguire un accento principale, anche se con parecchi di questi accenti, spetta al lettore decidere dove posizionare la cesura o le cesure e se posizionarle del tutto. Perché la cesura è - questo sarebbe un altro limite importante - una caratteristica genuinamente metrica che struttura il verso in casi appropriati. L'esecuzione è in principio indipendente da essa, cioè la divisione temporale di un verso permette tutta la libertà stilistica, il che significa che il recitante può rinunciare del tutto a una pausa nel discorso anche dopo un accento principale.

Se si prende ora la reale complessità degli accenti nella Divina Commedia, si capisce perché la cesura nell'endecasillabo di Dante è sempre più evaporata e gli autori che se ne occupano hanno relativizzato, se non abolito, il suo significato.[44]

Si tratta quindi di una marcatura facoltativa, una caratteristica virtuale e secondaria del endecasillabo che funziona per certi versi ma non per altri e che non ha alcun effetto vincolante sulla lezione. Poiché nella nostra edizione abbiamo scritto completamente gli accenti e la cesura segue essenzialmente gli stessi, cioè è definita da essi, non c'è bisogno di marcarli ulteriormente. Il lettore riconosce la struttura ritmica del verso e decide da solo se e dove mettere le pause nel discorso. L'omissione offre un altro vantaggio. Conserva la neutralità della possibile recitazione inerente puramente agli accenti, non divide artificialmente l'endecasillabo in due semiversi, conservando così la sua unità e non suggerisce un certo modo di leggere che risulta meccanicamente dalla separazione visivamente percepibile.

Anche quando si prendono in considerazione strutture di accento fisse, il modellamento ritmico delle stesse è libero, cioè il lettore determina la dimensione temporale della frase. Questo principio si applica a fortiori alle soluzioni di accento variabile della mia edizione così come alla fondamentale, quasi illimitata varianza di accento dell'endecasillabo di Dante. È mia ferma convinzione che si può capire e leggere questo verso solo nel suo insieme e solo nella sua abbagliante permutazione linguistico-musicale. La cesura usurpa questa libertà. Distrugge l'unità del verso e impone allo spettatore una restrizione che può fare da solo o di cui non ha bisogno. Non abbiamo quindi incluso la cesura nella nostra edizione.

IV. Prospettive

Caro lettore,

vorrei congratularmi con te. Ora hai gli strumenti necessari per immergerti completamente nella Divina Commedia. Sei in grado di leggere il testo in modo autentico e creativo allo stesso tempo. Comprendi il gioco delle figure metriche fondamentali e sai cosa fare con gli accenti.

Tuttavia, il mio sistema è solo un invito a fare un viaggio di scoperta da soli. Perché ad ogni canto che assorbi, ti si aprono nuovi pensieri, nuovi destini, nuovi mondi. Imparerai qualcosa su Dante, sulla nostra umanità e infine su se stessi. Ti immergerai in un'opera che non ha rivelato il suo segreto nemmeno a distanza di secoli. Accanto a una potenza di linguaggio ineguagliabile e a un'ammirevole chiarezza di espressione e descrizione, ci sono visioni che trascendono il testo stesso. Alle immagini che vedi appartengono i suoni che ti accompagnano e i sentimenti che ti si aprono: precursori dell'intuito, testimoni di una verità e di una libertà più profonde.

Prenditi il tuo tempo per questo lavoro unico. Goditi il processo di apertura dell'ignoto. Imbarchiti in un'escursione attraverso lo spazio, il tempo e la tua anima.

V. Letteratura

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  1. [30]Si tratta allora del finale "piano". Nella versione cosiddetta "tronco" con l'ultima sillaba accentata, l'endecasillabo comprende 10 sillabe metriche, nella rara forma "sdrucciolo", la cui terzultima sillaba è accentata, 12 sillabe metriche. Per le parole, le terminazioni dei versi e le forme di rima in forma di piano, tronco e sdrucciolo, sono usati nella metrica – provenienti dal greco – anche i termini parossitono, ossitono e proparossitono.
  2. [31]Solo chi si era rigorosamente attenuto a questo standard aveva fatto il necessario, ed era orgoglioso di annunciare che uno dei grandi dell'era classica, Petrarca, aveva raggiunto l'obiettivo.
  3. [32]Sinonimo di enfatizzato accento principale.
  4. [33]Vanno qui menzionati i lavori di Praloran (2011, 2007, 2003) e il volume che Stefano dal Bianco (2007) ha presentato sull'endecasillabo dell'Orlando furioso. Anche il trattato di Leonardo Bellomo (2016) descrive in dettaglio gli schemi dell'endecasillabo.
  5. [34]Cfr. Sangirardi & De Rosa (2002): 73.
  6. [35]Cfr. Sangirardi & De Rosa (2002): 73/74: „Il Duecento, fino a Dante incluso, è caratterizzato da una varietà di schemi molto ampia, che si spiega con l’assenza di una codificazione esplicita. Dante nella Commedia adotta la maggior quantità di schemi ritmici riscontrabile nei classici italiani.” Si trova anche “una percentuale molto bassa di endecasillabi che presentano problemi di scansione perché I loro schemi non si lasciano ricondurre ai modelli canonici.” (ibidem). Come vedremo, questo numero aumenta quando si espande lo schema di accento bipolare convenzionale.
  7. [36]Oppure si va nella direzione opposta e si adatta non il sistema alla poesia, ma la poesia al sistema, il che alla fine equivale a una negazione della realtà linguistica.

    E infatti non sono mancati i tentativi di bollare i versi sgradevoli come irregolari o di canonizzarli più o meno forzatamente attraverso un'accentuazione supplementare sulle sillabe desiderate. Per esempio, Remo Fasani (1992) scrive: 77: "Tirando le somme, si vede dunque che bisogna essere più che cauti quando si parla, a proposito dell'endecasillabo della Commedia, di schemi non canonici, in quanto forse nessuno di loro resiste a un esame approfondito." (enfasi mia).

    Tuttavia, non vogliamo più occuparci di queste manovre, poiché l'altro problema è ancora più fondamentale.
  8. [37]Lascia deliberatamente libera la lunghezza delle sillabe e non stabilisce alcuna cesura o altri segni di pausa, poiché questi parametri temporali nascono quasi naturalmente dalla forza e dalla posizione degli accenti o dal ritmo del verso e, similmente a quanto si sa dalla musica, sono responsabilità dell'interprete.
  9. [38]Bertinetto (1981): 247/48: „Per ciò che riguarda il problema dell’accento secondario, ho cercato di mostrare la scarsa rilevanza di questa entità teorica nel sistema prosodico italiano. Da un lato ho osservato infatti che molti presunti accenti secondari sono in realtà dei meri fatti di esecuzione (che ho chiamato ʿ accenti ritmici ʾ), legati a certe esigenze di articolazione ritmica del discorso, e strettamente dipendenti dalla diversa rapidità di elocuzione.”
  10. [39]Sono stati prima gli autori della storica registrazione Warner Italia (1961/62). Sono stati seguiti da Claudio Carini (2019), Vittorio Sermonti (1988) e Ivano Marescotti (2011). Iacopo Vettori (2006-10) e Silvia Cecchini (2010) hanno completato la lista.

    Non è qui il luogo per sottolineare le differenze tra i recitatori. Tuttavia, possiamo evidenziare uno degli esecutori, Iacopo Vettori, che ha trovato il giusto equilibrio nella maggior parte dei casi con una velocità di parola media, un andante, e un modo di esecuzione tranquillo ma allo stesso tempo impegnato.
  11. [40]Il lettore troverà il link al database di Robey nella nota 25. L'Archivio Metrico Italiano del Gruppo Padova (AMI) è stato presentato da Sergio Bozzola nel 2000 e da allora è stato continuamente sviluppato (https://linguaetesto.wordpress.com/2013/03/12/larchivio-metrico-italiano-ami/).

    Non vogliamo nascondere il fatto che ci sono differenze sostanziali tra questi due database, ma soprattutto anche nella nostra valutazione degli accenti ad essi. Questo è dovuto anche, ma non solo, all'introduzione della logica dell'accento trivalente. Laddove Robey pone troppi accenti, ne troviamo troppo pochi nel Gruppo Padova. Ciò potrebbe essere dovuto, come sottolinea Praloran (2006: 50, citato in Beltrami 2015: 307), uno dei loro mentori, all'eccessivo affidamento dell'americano alla scansione automatica dei testi e quindi alla perdita della contestualità degli accenti, anzi alla distruzione del vero carattere del ritmo del verso. Il database italiano promette miglioramenti qui. (L'informatica sia un aiuto, ma non un dogma, e sia sostituita da un approccio fonologico e sintattico individuale.)

    Proviamo simpatia per questo approccio, quindi possiamo sostanzialmente essere d'accordo con questa valutazione e non abbiamo nemmeno effettuato un'assegnazione sintattico-statistica. Certo, si scopre che anche l'elaborazione manuale dell'italiano non è molto soddisfacente. È incompleto e - come quello della sua controparte - non privo di errori. Entrambe le banche dati hanno quindi potuto essere consultate e superate. Ci considereremmo fortunati se il nostro lavoro fosse riuscito, soprattutto grazie al nuovo sistema di accenti, ad elevare la scansione della Divina Commedia ad un nuovo livello più realistico, cioè ad aver scomposto e presentato in modo affidabile la sua essenza ritmica, che viene illuminata dalla recitazione vivente.

    Con nostro rammarico, dobbiamo notare che il Progetto Padova ha interrotto la sua presenza su Internet per un periodo di tempo indefinito. Quindi il suo database non è attualmente più disponibile online. Tuttavia, vogliamo mettere qui il vecchio link in caso di un futuro rimedio: http://www.maldura.unipd.it/ami/php/index.php.
  12. [41]Per il momento, equipariamo la cesura alla pausa (parlata). Più avanti vedremo che si tratta di un'interruzione metrica, che, sebbene possa suggerire una pausa nel discorso, ne è in linea di principio indipendente.
  13. [42]Si ha poi prima della separazione a) un settenario tronco: "di bella verità / m'avea scoverto", b) un settenario piano "Allor distese al legno / ambo le mani" o c) un settenario sdrucciolo: "per la similitudine / che nacque". La cesura è segnata qui come sotto con la barra.
  14. [43]Qui, analogamente, abbiamo a) un quinario tronco: "noi fuggirem / l'imaginata caccia", b) un quinario piano: "O voi che siete / in piccioletta barca" o c) un quinario sdrucciolo: "Tutti gridavano: / "A Filippo Argenti!". Tutti gli esempi di questo paragrafo sono tratti dall'articolo di Beccaria citato all'inizio della nota successiva.
  15. [44]Per esempio, Gian Luigi Beccaria scrive nella Enciclopedia Dantesca (1984: 929): „In D[ante] anzitutto non c'è alcuna obbligatorietà di c[esura]: il suo verso pare piuttosto organismo fortemente unitario, che non risulta dalla somma di due unità ritmiche appartenenti a versi differenti (Pernicone); la c[esura] non è mai così forte da spezzare la salda unità ritmica del verso (anche se pare più netta nei versi con parola tronca, e avvertibile ancora con parola piana [ricominciaron / le parole mie], lo è meno quando avviene sinalefe: Ma se le mie parole / esser dien seme // che frutti infamia / al traditor ch'i' rodo).“ Elwert (1968: 57) aggiunge: „Die Zäsur ist somit nicht ein wesentliches Merkmal des Elfsilbers.“

    E Menchietti (1993: 467) nota dopo una presentazione differenziata delle valutazioni controverse nella letteratura: „A nostro modo di vedere, invece, la cesura dell'endecasillabo - anche quando si realizza (cioè, come vedremo, non sempre) - non ha in quanto tale nessun riflesso necessariamente percettibile sull'esecuzione; la sua percettibilità, di per sé, è solo virtuale, anche se il lettore è messo tanto piu chiaramente sulla sua traccia quanto piu frequente e percettibile è il suo coincidere con pause o sospensioni effettive. In altri termini, la cesura dell'endecasillabo, come quella di ogni altro verso non doppio o composto, si situa secondo noi prima di tutto al livello della scansione.” La cesura, in altre parole, non è un fenomeno fonetico ma soprattutto metrico (ibidem: 467).

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